MEDICINA NATURALE

Per un futuro post-pandemia più consapevole degli equilibri dell'individuo e del pianeta. Spunti di riflessione su una gestione integrata dell'arte del guarire.

Proporre una riflessione sulla gestione della salute in un momento in cui il personale sanitario è impegnato con tutte le proprie forze (e oltre) a salvarci la vita quando veniamo contagiati? Non potrebbe, un tale invito, apparire fuori luogo o, peggio, suonare come un ammiccamento al movimento negazionista che accusa autorità, classe medica e mezzi di comunicazione di inventarsi un contagio inesistente per tenere sotto scacco una popolazione terrorizzata?

Non è questa l'intenzione. Si tratta piuttosto di un invito a concentrarsi su ciò che questo momento così difficile per tutti potrebbe e dovrebbe insegnare: è forte infatti il rischio che, una volta superata l'emergenza, si sia tentati di ritornare al più presto alla vita precedente, come se nulla fosse accaduto, e come se non fosse evidente che la pandemia da cui l'umanità intera è travolta ha portato drammaticamente in evidenza errori, fragilità, limiti e responsabilità di un mondo lanciato a corsa sfrenata in un supposto progresso, ma totalmente indifferente ai danni che questa corsa produce.

E se questo ripensamento si impone in tutti gli ambiti della vita collettiva, dall'organizzazione sociale, all'economia, ai rapporti interpersonali e internazionali, a maggior ragione vale per l'ambito della salute, che l'attuale pandemia sta sottoponendo a una prova tanto dura.

Non c'è salute in un pianeta malato. Ma, reciprocamente, se non sapremo prenderci cura del nostro equilibrio fisico e interiore, come potremo sviluppare la sensibilità necessaria per saper custodire, nel senso del messaggio biblico, il nostro pianeta? Non c'è un "prima" e un "dopo", c'è un "contemporaneamente", perché tutto è connesso. E tutto, dai grandi ecosistemi alla più piccola cellula del singolo individuo, vive collegato alla totalità grazie a un equilibrio perfetto, perfetto perché dinamico, ma proprio perché dinamico anche molto sensibile: basta intervenire su un elemento e l'intero sistema deve riadeguarsi, con una serie di reazioni a catena difficilmente prevedibili e quindi non controllabili, perché nessuna mente può disporre dell'esatta visione d'insieme. Ciò vale per qualsiasi intervento umano, sugli ecosistemi, sul funzionamento di un organo, sul patrimonio genetico: le conseguenze che tale intervento può portare sulle interconnessioni sottili sfuggono ai tentativi di una semplice spiegazione meccanicistica. Ciò è tanto più vero quanto più l'organismo è complesso, caratterizzato da molteplici variabili, come nel caso dell'essere umano, in cui agiscono componenti che vanno ben oltre il livello biologico.

Non siamo solo corpi che desiderano conservarsi in vita, siamo persone che nutrono emozioni, perseguono valori, stringono relazioni, siamo dotati di libero arbitrio e aspiriamo a sapere rispettati i nostri spazi di libertà. In ognuno di noi ha preso e prende continuamente forma un progetto di vita che guida le nostre scelte, abbiamo una dimensione etica e ci poniamo interrogativi di ordine spirituale. E quando ci ammaliamo, non è solo il nostro corpo ad ammalarsi, o meglio, il corpo mostra solo i segnali di uno squilibrio più profondo, che si è preparato a lungo e ci ha resi più fragili.

Ciononostante l'orientamento "di routine" della pratica medica (è bene sottolinearlo, non si sta parlando degli interventi, sacrosanti e indispensabili, che vengono praticati in situazioni di emergenza, ma della gestione ordinaria della salute dei cittadini) pare limitarsi ancora a considerare l'organismo vivente come una somma di organi,

  • intervenendo sul corpo fisico con molecole di sintesi a dosi ponderali, peraltro calibrate su un campione "medio" di individui, tra cui non ci sono probabilmente né donne, né anziani o persone affette da allergie o intolleranze, o semplicemente più sensibili;
  • puntando preferibilmente sulla rimozione del sintomo, dimenticando che esso rappresenta uno dei più convincenti strumenti attraverso cui il corpo comunica uno squilibrio;
  • illudendosi di "guarire" trattando una parte del corpo, ma finendo con lo scatenare effetti collaterali che richiederanno a loro volta analoghi interventi terapeutici su altri organi compromessi;
  • riversando capitali immensi nella ricerca di organismi vegetali che possano rivelarsi interessanti ad uso terapeutico, per poi isolarne il principio attivo che si ritiene più utile e riprodurlo sinteticamente in laboratorio, dimenticando che anche la pianta è un organismo vivente, e che la sua funzione terapeutica risiede principalmente nella sinergia tra le sue parti, cioè nel fitocomplesso.

"Quando si vuol conoscere e descrivere una realtà vivente", faceva dire Goethe a Mefistofele nel Faust, "si cerca sempre prima di tutto di toglierle lo spirito vitale, con il risultato che ci si trovano tra le mani dei frammenti sconnessi, privati come sono, purtroppo, del legame che dà loro lo spirito. La chimica chiama tutto questo encheiresis naturae, prendendosi gioco di se stessa senza sapere come".

Encheiresis naturae: mettere le mani sulla natura, manipolarla. Curioso che, a distanza di 200 anni, la Laudato si' si trovi nella necessità di utilizzare la stessa immagine per deprecare un atteggiamento divenuto ancora più invasivo nei confronti della natura:

"... ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l'imposizione della mano umana, che tende a ignorare o a dimenticare la realtà stessa di ciò che ha dinnanzi" (cap. terzo, II, 106).

E' come se, paradossalmente, la pratica medica dei nostri ambulatori e della nostra medicina di base non riuscisse a stare al passo dei progressi che la fisica e la biologia e la stessa medicina hanno compiuto e stanno compiendo, superando la rigida distinzione delle singole discipline e spingendosi fino alla scoperta dell'infinitamente piccolo, là dove si fanno sempre più labili anche i confini tra materia e energia: ogni organismo vivente, dagli organi più complessi alla singola cellula è, prima di tutto, energia, caratterizzato da proprie frequenze e sensibile alle loro variazioni. E la componente energetica gioca sicuramente un ruolo anche nella conservazione della salute o nell'instaurarsi della malattia. Ma il bersaglio della medicina di routine continua a rimanere il corpo.

Per questo pare sempre più urgente chiedersi se non sia giunto il tempo di ripensare i criteri di approccio al tema della salute. Non si tratta ovviamente della volontà di rifiutare in blocco la medicina classica, imprescindibile, come già sottolineato, in alcune situazioni, ma piuttosto di un invito a un cambio di paradigma, a un ampliamento degli orizzonti in primo luogo nella gestione della "normalità".

Se infatti il principio della complessità e quello della connessione governano l'esistenza, perché non utilizzare lo stesso principio anche nella metodologia, che permetta un intervento terapeutico molto più ampio e che si avvalga degli apporti delle cosiddette "medicine complementari", più allenate, da tempo, proprio per la loro impostazione, a cogliere la peculiarità e la complessità dei singoli individui e a tutelarne gli equilibri con interventi meno invasivi? Complementari, non alternative, perché nessun orientamento nell'arte del guarire, quale esso sia, può avere il monopolio della gestione della salute: l'unilateralità è sempre dannosa e porta al rifiuto aprioristico di ciò che non si conosce.

Ci sono già esempi positivi in merito, come la crescente diffusione, peraltro sollecitata dalla stessa OMS, negli USA e in Europa, ma anche in alcune regioni italiane, come Toscana, Emilia, Piemonte, e in alcuni centri come l'Istituto dei Tumori di Milano e il Gemelli di Roma, delle terapie integrate in campo oncologico che, pur non tralasciando le metodiche classiche, supportano l'organismo già stressato dalla malattia e dalle terapie, spesso molto pesanti, con interventi di fitoterapia, omeopatia, agopuntura e altre tecniche della medicina tradizionale cinese, applicate non come discipline accessorie, ma considerate tutte come dotate della medesima dignità, proprio in nome di quella sinergia che dovrebbe diventare sempre più il principio ispiratore di ogni terapia. Si tratta sicuramente di un allargamento di prospettiva che, oltre ad assicurare migliori probabilità di successo, evita al paziente di trovarsi troppo spesso confrontato con una contrapposizione sterile tra diverse impostazioni in campo medico e costretto a scegliere tra alternative presentate come incompatibili. Una scelta stressante e nociva.

E, allargando il campo di osservazione dall'ambito oncologico all'intero sistema di gestione della salute, è bene sottolineare che un confronto senza pregiudizi e disponibile allo scambio di informazioni andrebbe a tutto vantaggio del benessere dei cittadini e anche delle casse statali, perché nessuno ignora quanti disturbi, e quindi quante spese a carico del Servizio Sanitario potrebbero essere risparmiate se si instaurasse una diversa cultura della salute e una diversa disciplina nell'uso dei farmaci di sintesi, in primo luogo degli antibiotici, il cui abuso, in particolare nel nostro Paese, sta creando una situazione molto preoccupante.

L'ostacolo maggiore a tale ampliamento di prospettiva, purtroppo, è rappresentato in alcuni casi dall'arroccamento di molta parte della scienza ufficiale sulle proprie posizioni, che sembra dettato più dalla volontà di difendere i propri spazi che dal desiderio di far progredire la conoscenza. Spiace infatti vedere come le medicine complementari vengano delegittimate in blocco e assimilate con imbarazzante superficialità a pratiche di stampo medievale, prive di qualsiasi fondamento scientifico, dimenticando invece che metodiche che trattano il sistema energetico dell'uomo, come l'agopuntura (a cui peraltro la stessa OMS riconosce dignità ed efficacia), vantano una tradizione millenaria, affermatasi in un tempo in cui, pur non essendo disponibile l'enorme bagaglio delle conoscenze scientifiche attuali, si era giunti comunque, con l'osservazione umile e la riflessione sistematica (che oggi mancano, posseduti come si è dall'ossessione di sezionare tutto), a intuire legami e rapporti tra organi nell'eziologia delle malattie e, naturalmente, nella loro terapia.

Per quanto poi riguarda l'accusa di mancanza di basi scientifiche è giusto ricordare che ricerca, sperimentazione e rigore scientifico e relative pubblicazioni non mancano certo in discipline come la stessa agopuntura, fitoterapia, la sorella maggiore della chimica, e l'omeopatia, che proprio nel progressivo approfondimento delle conoscenze nel campo della biofisica e della fisica quantistica sta trovando sempre più numerose conferme e non può più essere legittimamente presentata dai detrattori come la medicina che cura con zucchero e acqua fresca, con la abusata motivazione che, dove non sia rilevabile traccia di materia, sarebbe assente qualsiasi efficacia. Peccato che la biologia ci insegni che esistono specie di farfalle in cui il maschio è in grado di percepire i messaggi odorosi della femmina fino a una distanza di 10 km.: è difficile pensare che sia ancora "materia" quella che giunge al maschio, ma evidentemente l'informazione giusta arriva. D'altra parte, dal momento che le sperimentazioni, anche su animali, dimostrano che i rimedi funzionano, non è legittimo opporre un rifiuto solo perché non si riesce ancora a comprendere come mai il metodo funziona: semmai bisognerà lasciarsi interrogare dal nuovo per aprire nuove strade. E' la strada maestra della scienza, già battuta da numerosi istituti di ricerca, ma purtroppo non condivisa da una parte del mondo accademico. Certo è che un percorso di ricerca non può essere inquinato dal disprezzo pregiudiziale o dall'irrisione che invece emergono chiaramente, purtroppo, per esempio quando l'omeopatia viene presentata come quella "controversa pratica terapeutica che si basa su presupposti stravaganti quali l'assenza del principio attivo nel rimedio omeopatico dovute a un processo di diluizione estremo (chiamato 'dinamizzazione') e la cosiddetta 'memoria dell'acqua'....." (citazione dal programma del gruppo "Omeopatia", nato nell'ambito del recente Patto trasversale per la scienza).

C'è da chiedersi quale atteggiamento scientifico possa guidare tale ricerca, o se con questa rigidità di impostazione non si rischi di cadere nel dogmatismo, illudendosi di fermare il pensiero screditando, emarginando, condannando alla ritrattazione chi si azzardi a esprimere idee diverse: la storia ci fornisce esempi a sufficienza perché possiamo trarne la saggezza necessaria a non ripetere gli errori del passato.

E' un modello culturale vecchio, quello della contrapposizione, della ricerca del nemico da escludere, e l'atteggiamento negazionista, con le sue semplificazioni spesso grossolane, ha aggravato la situazione, attirando il giudizio frettoloso di no-vax o di diffusore di fake news anche su chi semplicemente richieda maggiori certezze sull'impiego del futuro vaccino anti-Covid o preferisca orientarsi nel quotidiano verso terapie "naturali".

Qui interessa invece auspicare apertura, disponibilità al confronto, ricerca di nuove sintesi nell'interesse di quella ricostituzione dell'armonia dell'uomo in se stesso, degli uomini tra loro e nei rapporti con il Creato e, per chi sia credente, con il Creatore, che costituisce il messaggio di fondo della Laudato si'.

Per questo si ritiene preferibile tratteggiare qui di seguito una serie di proposte che potrebbero avviare il cambiamento, nella certezza che la disponibilità esiste. Basta cercarla e sollecitarla.

Avvio di un dialogo costruttivo e libero da pregiudizi tra medicina ufficiale e medicine complementari

· attraverso l'introduzione, nel curricolo universitario del futuro medico, di un iter informativo sulle principali medicine complementari, a cura di esperti di ogni settore, che avrebbero il compito di illustrare le basi teoriche di ogni singolo orientamento terapeutico, la metodologia e gli ambiti di applicazione. Ciò consentirebbe al futuro medico di accostarsi a prospettive e conoscenze che oggi spesso sono mancanti (e la cui mancanza è terreno fertile per opinioni precostituite o rifiuti aprioristici) e di poter indirizzare con maggior competenza i propri pazienti verso la terapia che si rivelasse come più adeguata;

· attraverso dibattiti tra rappresentanti dei diversi orientamenti terapeutici, grazie a cui potrebbe essere avviato uno scambio di conoscenze e di esperienze, a tutto vantaggio del progredire delle competenze;

· attraverso dibattiti pubblici tra esperti dei diversi settori, così che al cittadino medio sia consentito l'accesso alle necessarie informazioni e non necessariamente attraverso canali del web spesso di discutibile attendibilità.

Sostegno alla ricerca, con pari opportunità per le medicine convenzionali e per quelle complementari. Sostegno anche a una ricerca svincolata dagli interessi dei produttori di farmaci

· Nel campo della medicina di genere, su cui già si sono avviate iniziative di ricerca, ben lungi tuttavia da poter essere applicate nella pratica clinica.

· Nel campo delle sostanze naturali in grado di affiancare o sostituire sostanze di sintesi più tossiche o responsabili dello sviluppo di pericolose resistenze.

  • Gli studi che si stanno conducendo presso lo stesso Ministero di Sanità sulle potenzialità degli oli essenziali come antivirali, antibatterici e antifungini, ma anche promettenti come antiinfiammatori e antiossidanti. Molte funzioni in un prodotto solo, privo, se utilizzato in modo corretto, degli effetti collaterali degli equivalenti farmaci di sintesi e dei rischi dello sviluppo di resistenza batterica e virale. E non è poco. Possibile impiego, oltre che nel trattamento di infezioni virali, batteriche o fungine, anche in medicina veterinaria e nell'industria alimentare; il loro uso permetterebbe di ridurre notevolmente l'abuso soprattutto degli antibiotici, e di riservare l'uso di questi ai casi più gravi. Naturalmente, come sempre, perché il loro impiego possa essere validato, serve ancor tanta ricerca. E finanziamenti.
  • Le indagini sulle proprietà antibatteriche e antifungine e antivirali dell'argento colloidale, in uso fino agli inizi del sec. XIX e poi soppiantato dalla diffusione degli antibiotici di sintesi.

Medicine complementari: serve chiarezza!

Quello delle medicine complementari è un mondo vasto e variegato, che comprende le già più volte ricordate omeopatia, fitoterapia, agopuntura, ma anche reflessologia, moxibustione, iridologia, coppettazione .... E mentre la CE ammette, anzi, in alcuni casi, come per la Medicina Integrata in Oncologia, ne raccomanda l'applicazione, lascia ai singoli Stati il compito di legiferare in merito. E in questo l'Italia, come altri Stati, è latitante. Accade così che, se chi è interessato a praticare le medicine complementari possiede già una laurea, non ci siano problemi: sarebbe solo auspicabile che all'interno delle stesse Università fossero disponibili adeguate offerte formative di specializzazione, almeno in MTC e omeopatia (la fitoterapia presuppone già una laurea specifica).

Più spinosa è invece la questione che riguarda la figura del naturopata, anch'esso riconosciuto dall'UE, ma anch'esso relegato nella zona grigia dell'assenza di una normativa.

Attualmente il futuro naturopata può frequentare i corsi di una delle numerose scuole che anche in Italia sono fiorite negli ultimi 30 anni: l'offerta formativa prevede materie come anatomia, fisiologia, patologia, conoscenza degli esami di laboratorio, e discipline caratterizzanti. Il controllo finale avviene tramite esami scritti e orali interni alla scuola.

La serietà di formazione e la competenza vengono quindi controllate dalla scuola stessa, e di questo l'utente deve fidarsi. Probabilmente sarebbe più legittimante, ai fini dell'esercizio della professione, un meccanismo di controllo analogo a quello adottato in Germania per gli Heilpraktiker, i quali alla fine del loro iter formativo, oltre alle verifiche effettuate internamente alla scuola, devono sostenere un esame scritto davanti a una commissione medica statale (Amtsarztprüfung), che accerta non tanto le competenze come Heilpraktiker, quanto le conoscenze mediche necessarie ad evitare il pericolo di procurare danni al paziente.

Oppure sarebbe auspicabile, finalmente, una legislazione chiara.

Produzione di farmaci rispettosi degli equilibri dell'organismo umano

Uno dei problemi legati all'utilizzo dei farmaci di sintesi consiste nel fatto che gli eventuali effetti collaterali, oltre a provenire dal principio attivo in sé, sono causati molto spesso dagli eccipienti usati, non sempre necessari, o comunque sostituibili con altri a minor impatto o a impatto nullo, come accade per esempio nei prodotti fitoterapici, per i quali si impiegano sostanze molto più "pulite".

Nei farmaci di sintesi troviamo per esempio

  • il sodiolaurilsolfato, usato in genere come tensioattivo in shampoo e bagni schiuma, ma utilizzato ancora nell'industria farmaceutica in pomate e, ciò che è peggio, compresse;
  • tra i dolcificanti l'aspartame e l'acesulfame-K (oltre che sospettati fortemente di cancerogenicità, responsabili di importanti intolleranze), fruttosio, sorbitolo, mannitolo, maltitolo (quando è noto che l'intolleranza agli zuccheri a catena lunga non è affatto rara): e questo quasi sempre solo per un motivo commerciale, perché il prodotto sia più gradevole. Ma una medicina non deve essere a tutti i costi buona.
  • Lattosio, in quantità limitatissime, ma molto diffuso, così che chi è intollerante e assume più farmaci rischia di superare la dose-limite
  • E poi PEG, coloranti, benzalconio cloruro nei colliri, a potenziale effetto allergenico o infiammatorio; e l'elenco potrebbe proseguire.

E mentre i bugiardini si affrettano ad ammonire di non usare il prodotto in caso di incompatibilità con uno qualsiasi degli ingredienti, si verifica che tutti i farmaci presenti sul mercato con lo stesso principio attivo si rivelino identici anche nella scelta degli eccipienti, anche se con un po' di buona volontà si potrebbero trovare delle alternative (sempre ispirati dall'esempio dei prodotti fitoterapici o omeopatici). Risultato: per chi ha bisogno di un farmaco e ha la sfortuna di essere intollerante si apre una caccia al tesoro senza speranza, alla ricerca di un prodotto che sia "pulito" e che non lo faccia ammalare ulteriormente.

Preminenza data alla prevenzione primaria, compito per cui sarebbero particolarmente adatte le medicine complementari, già per loro impostazione metodologica orientate a educare alla salute attraverso

  • Una corretta alimentazione;
  • una gestione consapevole del sintomo, che richiede di essere interpretato, non eliminato;
  • un uso corretto dei farmaci, privilegiando, se possibile, quelli naturali (meno rischiosi dal punto di vista degli effetti collaterali e quindi, in prospettiva, meno impattanti dal punto di vista economico);
  • un rapporto consapevole con la malattia, che necessita del tempo adeguato per evolvere verso la guarigione, e non sparisce certo con una compressa magica, come ci predicano i messaggi pubblicitari.

Potenziamento della medicina di territorio, che sgravi il carico dei grandi ospedali, attraverso la creazione di poliambulatori di medicina integrata, organizzati come mini-ospedali, se si eccettua la parte relativa alla degenza, e così strutturati:

  • Segreteria, che sollevi il medico di base dai doveri burocratici e gli conceda tempo per una più attenta cura dei pazienti;
  • Spazi per prelievi ematici, ecografie, ECG, terapie manuali, anche di tipo olistico;
  • Presenza, a rotazione, di professionisti delle principali specialità, comprese quelle della medicina complementare;
  • Medico/i di base, che, da compilatore di ricette o di impegnative per visite specialistiche, dovrebbe tornare ad essere figura di primo riferimento nell'attività di visita, raccolta dati (anamnesi, ma anche elementi che caratterizzino il paziente, come allergie, intolleranze, reazioni ai farmaci, che non devono diventare una colpa per chi ne soffre, ma un elemento di cui tener conto in caso di ricovero), oltre che figura di collegamento con gli specialisti dello stesso ambulatorio, perché la presa in carico del paziente sia davvero "integrale";

Vantaggi: possibilità per i pazienti di avere accesso a spazi per indagini, visite generiche e specialistiche, terapie manuali senza dover "pellegrinare" da un centro all'altro in tempi diversi, con un considerevole calo dello stress, soprattutto da parte di persone anziane, e relativo abbattimento del traffico di auto necessario per gli spostamenti da un centro all'altro, tanto più se si tratta di territori lontani dalle città, particolarmente penalizzati dal punto di vista dell'assistenza sanitaria.

Adeguamento dell'organizzazione ospedaliera al principio della complessità e della sinergia

  • Utilizzo dei dati raccolti dal medico di base, in relazione a patologie, intolleranze, sensibilità, ai fini dell'adeguamento delle terapie;
  • Quando possibile, coinvolgimento del paziente nella scelta della terapia (convenzionale o integrata) e diritto del paziente, se lo desidera, a fare riferimento anche a un medico che pratichi le medicine complementari, nel rispetto delle proprie peculiarità e delle proprie sensibilità;
  • Utilizzo del cibo come terapia (quindi biologico), in alternativa al classico cibo ospedaliero.
  • Quando possibile, utilizzo di sostanze alternative agli antibiotici o ad integrazione degli stessi;
  • Riduzione dell'inquinamento elettromagnetico allo stretto indispensabile
  • Attenzione al mantenimento di un clima salubre nelle stanze, in genere spesso surriscaldate, con conseguenze spiacevoli sull'apparato respiratorio.
  • Maggior cautela nell'impiego e nel dosaggio dei farmaci previsti dai protocolli terapeutici: i pazienti non sono tutti uguali, e alcuni effetti collaterali potrebbero avere conseguenze drammatiche.

Sono solo alcuni spunti.

Rimarrebbe poi completamente aperto il problema del testamento biologico, che è talmente vasto e sensibile che richiederebbe uno spazio a sé.

Tiziana VillaggiInserisci qui il tuo testo...

© 2020 Mail: donantonio.fano@gmail.com
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia